About pro-life’s duplicity -and the pride of clinics members.

“For real surrealism, nothing beats right-wing and religious efforts to confer legal personhood on fertilized eggs. This would nationalize women’s bodies throughout their childbearing years. Not surprisingly, the Human Life Amendment to the U.S. Constitution has failed, but many state and local tactics are succeeding, from bombing clinics and murdering doctors in the name of “pro-life”, to denying birth control as a part of health insurance, and closing clinics with impossible building regulations imposed by antichoice state legislatures. Over time, I’ve also noticed that local picketes of clinics often personify this surrealism.

To enter the Blue Mountain Clinic in Missoula, Montana, I have to pass picketers who are crowded at the edge of the legal buffer zone. They are shouting, “Abortion is murder!” and “Baby killer!”. Inside, staff members show me around the clinic, which has been providing a full range of health services since the early 1970s. In 1993 its building was firebombed and completely destroyed by anti-abortion terrorists, even though, as with most such clinics, providing safe abortions is a tiny fraction of its health care mission. I understand that repairing the damage has taken two years and a lot of work. Now Blue Mountain is operating behind a slender buffer zone and a tall protective fence.

A staff member tells me that one of the female picketers has come in when the men were not around, had an abortion, and gone back to picket the next day. This sounds surrealistic to me- but not to the staff member. She explains that women in such anti-abortions groups are more likely to be deprived of birth control and so to need an abortion. They then feel guilty -and picket even more. This restriction on birth control may also explain why studies have long shown that Catholic women in general are more likely to have an abortion that are their Protestant counterparts.

When I visit clinics, I’ve learned to ask the staff if they have ever seen a picketer come in, have an abortion, and go back to picketing again. From Atlanta to Wichita, the answer is yes. Yet because staff members see the woman’s suffering and guard her right to privacy, they don’t blow the whistle.
Meanwhile in Wichita, Kansas, Dr. George Tiller, one of the few doctors who perfmorms late-term abortions -only about 1 percent of all procedures but crucial when, for instance, a fetus develops without a brain- is shot in both arms by a female picketer. He recovers and continues serving women who come to him from many states.

I finally meet Dr. Tiller in 2008 at a New York gathering of Physicians for Reproductive Choice and Health. I ask him if he has ever helped a woman who was protesting at his clinic. He says: “Of course, I’m there to help them, not to add to their troubles. They probably already feel guilty.”
In 2009 Dr. Tiller is shot in the head at close range by a male activist hiding inside the Lutheran church where the Tiller family worships each Sunday. This is done in the name of being “pro-life”.

 

Gloria Steinem, My life on the road, 2015

Anche tradotto amatorialmente in italiano.

Spiral.

su Doctor Who OST – River Song’s Theme

 

Those eyes in the dark,

the spiral we standed on,

four feet two shadows,

arms and hands to forget.

 

Che Yule ti porti un lupo bianco.

su Stone Sour – Bother

Ormai è da settimane che mi sveglio col cielo lattiginoso, la nebbia che senza piovigginare non sale, anzi, poi lascia il posto ad un sole tiepido ed insolito. “Ah, scusa, tocca a te, io me ne vo’. Oh, mi raccomando, eh.”
Chissà di cosa si raccomanda la nebbia al sole.

Due giorni fa era Yule.
La notte più lunga dell’anno, la rinascita, del tempo e di noi stessi. Ricostruire sopra i propri errori gettandoseli dietro come il sale per creare una barriera protettiva, un memento per poter risalire lungo la spirale dell’apprendimento.
Col senno di poi è stata una giornata intera molto particolare, ricca di prime volte: il primo onigiri, di cui il mio Dottore parlava sempre; la prima volta in quel centro commerciale con la giostra a due piani, che faceva molto Parigi, come un blocco di fiaba piazzato in un contesto moderno e asettico. Un blocco di neve al centro della hall di una banca.
La prima volta che ho visto interamente e senza pregiudizi un film di Miyazaki. A mezzanotte inoltrata, con coperta e uno dei miei thé preferiti nella tazza di Eve.
Tutto questo al fianco di un lupo.
E almeno quella notte, su un letto con le macchie nere dei miei due gatti e i capelli ricci del Lupo, non ho sognato G.
Non ho covato incubi.

 

 

Sale.

su Mammut – Salt

Coprimi di foglie
scricchiolano sulla mia pelle,
che sfreghino via i dubbi
cancellandoti un po’

Chiudo gli occhi e vedo tronchi
incompleti
per entrare in nuove terre,
lasciami entrare a piedi uniti

con un salto.

Dentro.

amaro agg. (crasi tra il s.m. amore e l’agg. raro) – dicesi di cosa o persona che ama pochissimo.

su The Magic Numbers – I see you, you see me

Fare Ordine, dentro e fuori, e a volte anche nel virtuale. Dunque accade, durante questo processo contro l’entropia, di ripulire la mail, e scovare piccoli tesori anche lì, per quanto privi di polvere -ché se la posta elettronica prendesse corpo nella mia stanza andrebbe a riempire un intero scaffale, riempiendosi di polvere persino lì nei cassetti.

Una mail del 22 aprile, una newsletter che propone un tot di articoli di cui io puntualmente leggo solo la rubrica letteraria-varia-ed-eventuale; e in questo 22 aprile quel preciso articolo che non avevo letto mesi fa ma tenuto da parte a prender polvere virtuale trattava di un libro preciso, che è la terza volta che compare nella mia storia.

La seconda è stata nella libreria dell’elegante paese ligure dove ho passato qualche giorno con mia madre quest’estate, fra una focaccia e l’altra: dopo aver tentato inutilmente di tesser le lodi delle vetrine di abbigliamento s’è arresa al fatto che per farmi un regalo bisogna entrare in un negozio con scaffali e pagine. Così la prima volta mi ha reso la felicissima proprietaria di quello che è diventato un altro pezzo di me, I ragazzi di Anansi -buon vecchio Neil Gaiman, does it need saying?-, mentre una seconda volta ho scelto una raccolta di racconti di David Foster Wallace -ma ancora non è arrivato il momento di leggerlo.
Ma nessuno di questi due libri era quello della mail. No, la seconda volta l’ho notato fra i titoli consigliati nella già citata libreria, che spiccava prezioso e leggero. Etimologiario. Non l’ho preso, non era ancora il momento. E ho ripensato a Lui: “Mi hai fatto venire in mente questo è un libro che ho ordinato per un cliente ed ho adorato”. Ed eccolo lì. Il libro, non lui. Ahimé.

Ho ritrovato oggi una mail del 22 aprile in cui c’era una parte di lui, che tanto non avrei conosciuto che più tardi, una sera d’estate, un concerto a due passi e gli occhi rivolti alle stelle, i boccoli stesi sull’erba. Ero sulle nuvole, quella sera che cambiarono un po’ di cose, quella sera che il mio Dottore (Dottore chi?) trovò il suo Tardis.
L’ho ritrovata oggi, quella mail, l’ho ritrovato per la terza volta quel libro, l’invenzione di un nuovo vocabolario, un po’ come io e lui, il Dottore, facciamo fin da quando ci siamo conosciuti. Non è con le nuove parole che nascono nuovi mondi?

Crepe nei tessuti.

su Death Cab For Cutie – Expo ’86

I pantaloni sempre più strappati
ogni volta che mi piego
per prendere qualcosa

per sollevarlo da terra
e rimetterlo a posto

e mentre penso di rimettere in un qualche ordine
ecco che creo una nuova crepa.

 

Fondi di dolce: sproloquio.

su Two Door Cinema Club – What You Know

Ancora e sempre questi addii e questi ritorni e questi scoppi di lacrime brevi e sincere
e ballare davanti allo specchio in bagno ritrovandosi nella curva dei muscoli e nella pancia un po’ più piatta
come se le persone fossero la loro circonferenza
e poi pensare che in ospedale ogni settimana ti pesano e a volte ti misurano con il metro fa un po’ pensare
perché diventi il numero -di una stanza, della tua pressione, del tuo indice-di-massa-corporea e dei tuoi anni che forse non dimostri e dei giorni che resti con lo stesso pigiama
e la differenza la fanno i cuori che battono dentro le divise, non tutti, ma quelli che sanno distinguere la poesia anche nei volti e nelle domande e nelle richieste e nelle preoccupazioni e negli abbracci che si vorrebbero dare
insomma, mica tutti possono fare la differenza,
mica tutti possono lasciare il segno
e se chi un segno l’ha lasciato e ha baciato la carne tanto da improntarci le sue labbra e il suo odore
quando se ne va le cellule necrotizzano più in fretta?

 

“Corri, non restare indietro.”

su The Paper Kites – Woodland

 

“Corri, corri

non restare indietro,

continua a muoverti,

i mostri non si fermeranno finché non saremo morti.

Tutti i graffi sulle tue ginocchia

ti diranno dove siamo stati,

dove abbiamo sanguinato.”

 

 

Pensieri di un’alba: mancanza – Parte prima

su Dimartino – Maledetto Autunno

 

 

E certo mi manchi

mentre parte quella voce del 28 novembre
mentre canta di aver consegnato lettere
ad un postino anonimo
per non ritrovarle più
perché dentro ci sei tu,
ecco,
mi manchi  e mi si chiude lo stomaco
anche se io sto bene

anche se sto vivendo l’alba che corre

anche se mi sono appena abbandonata
lasciando cascare le braccia ed il passato
oltre il ritmo
e il volume
e la folla

 

 

 

 

Una nuova luce (attraverso una ferita sul maglione)

su The Smiths – There is a Light That Never Goes Out

Stavo tiravo su dal letto il maglione grigio, quello caldo e storto e rassicurante, per riporlo nell’angolo invernale dell’armadio quando l’ho vista. La ferita.
Un taglio preciso, come di coltellata, a metà strada fra il polmone destro e il fegato -quando quel maglione ce l’ho addosso.
Una ferita nel tessuto perfettamente liscio -e caldo e rassicurante.

E lo sguardo rivolto a quel buco orizzontale ha come premuto un qualche centro della calma all’interno del mio encefalo: niente cuffie nelle orecchie, con addosso cucita una serenità ben diversa dal mio frenetico muovermi di poco prima.
Come se il maglione ferito mi avesse riportato alla realtà, ricordandomi che senza fretta ma con fermezza ho una lista piuttosto lunga di cose da fare e vivere da regolare.

Così ho cominciato a guardare meglio tutti i pezzi della mia quotidianità sparsi sul pavimento pieno di peli neri di gatto della mia stanza, mettendo qualche frammento d’ordine in più in mezzo al caos che non affrontavo da un po’. Non per paura, certo che no, magari per spreco di tempo -questo sì.

Ed è bellissimo, dolceamaro, la conquista della consapevolezza, di una calma profonda che sembra l’eco di una voce mia dentro, la voce con tutta probabilità dei desideri e delle forze di spinta e di attrito che mi creano vortici nel petto.

E ripensandoci adesso questo mi fa pensare com’è che io abbia scelto la mia idea di futuro: osservare, studiare, spiegare e affrontare le ferite sblocca orizzonti che la nebbia e la confusione di ogni giorno tendono a precludere a tutti gli altri -che devono aprire bene gli occhi, strizzarli proprio, per poterli raggiungere.

 

Vedere la poesia nelle cose
è ciò che fa la differenza.