su The Pogues – Fairytale of New York
Un modo facile e veloce per andare sul sicuro con me è la carta stampata.
Tanto per capirci: “Cos’è che posso regalarti, al di là dei libri?” è diventato il mantra dei miei genitori. Dopo vent’anni ormai si sono rassegnati.
Un modo ancora più semplice per conquistare il mio amore imperituro è regalarmi un libro preferito, o con un significato personale.
Io son talmente simbolico-materialista, così legata ad ogni oggetto, libro o sasso che sia (no, letteralmente, per me anche un particolare sasso può essere di enorme valore) che quando mi stacco da qualcosa di mio da qualche parte nella Kamčatka nasce un quokka. O un basilisco, a seconda di come tira il vento.
Settimana scorsa ho regalato una carta foil di Umbreon che tenevo nel mio portafoglio, e se non è tanto questo. Una foil di una eevoluzione, sentite come suona importante.
O ancora, un anno fa regalai la mia copia del mio libro preferito in assoluto, Soffocare, con tanto di sottolineature e numeri delle pagine segnati.
Più tardi, al caldo della Cremeria, mi son sentita dire:
“Hai regalato un tuo libro? Ma è come dare via un proprio braccio!”.
Ecco, sì.
Per questo quando ho aperto i pacchetti di Alexandra mi sono sciolta.
Due libri di un’autrice particolare per lei, di cui uno proprio il suo preferito. Io ho memoria per certi dettagli, per quelle piccolegrandi cose che ci rendono ciò che siamo. Le fragilità su cui costruiamo.
Stanotte ho sognato una specie di speed treasure hunting, in questa casa molto all’antica, ogni stanza da scoprire; eravamo un gruppetto (di chicomequandoperché mi sfugge) ed ad ogni tot cambiavamo camera da esplorare. E fin qua.
Ricordo chiaramente di aver incontrato nella camera da letto, infilata sotto le coperte in un letto a baldacchino, quest’elegante donna, con delle rughe fini sul volto, i capelli castani vaporosi con un’acconciatura da casalinga anni ’20. Mi parlava di una donna a lei vicina, e alla mia domanda rispose che si conoscevano da dodici anni.
Ed io, nel sogno, ricordo ancora più chiaramente di aver pensato “Cazzo, quasi quanto me ed Alex.” Ebbene sì, sono un po’ sboccata anche nella mia versione onirica.
Ma il punto è proprio questo. Persino Morfeo mi ricorda quanto sono legata a lei.
Dopo giorni che mi sveglio con un buco nero nel petto per via di brutti sogni apro gli occhi e sono da lei, e fa già meno freddo; mi alzo circondata da tonnellate di libri (oh, mi sento a casa), e siamo a far colazione in mezzo alle torte di carote, il profumo di caffé e le decorazioni natalizie.
Immaginate come dev’essere uscire per andare a correre una mattina di inizio settembre, dare un’occhiata d’istinto alla posta e trovare una lettera, dopo quattro anni di silenzio. Tachicardia, e via dicendo.
E all’interno dei fogli una citazione di Neil Gaiman.
Certi legami non si mettono in pausa, prendono solo the long way round, per citare il Dottore.
Entrambe abbiamo tenuto i nostri pacchi di lettere di quando eravamo ancora alle medie, cantavamo i Backstreet Boys ed entrambe avevamo dei capelli che evitiamo cortesemente di ricordare.
Ed ora ci si ritrova a 22 anni, accoccolate sul divano ad ubriacarci di colori HD (e delle espressioni da pirla di James Franco, non c’è che dire), a viverci Halloween senza cappelli da strega e a discutere delle nostre americhe.
A 12 anni sognavamo New York e Dublino, ed ora entrambe abbiamo messo piede nelle nostre dreamlands, muovendo ogni passo per poterci tornare, sfogliando libri su libri mentre progettiamo come realizzare tutte le storie nella nostra testa.
Ricordo bene di noi due su un tavolino a Santa Maria di Leuca, due brutti anatroccoli alla Ya-Ya Sisters, mentre discutevamo di quando avremmo dato il primo bacio; ed ora mentre ci ritagliamo lo spazio nelle folle delle librerie e tra Duomo e via Torino di baci ne son passati, abbiamo più pesi sulle spalle ma mi basta vederla per sentire ancora la leggerezza di quell’estate.
Lei è casa, è come una famiglia. Una delle piccolegrandi cose che mi rendono ciò che sono. Uno specchio delle mie fragilità su cui costruisco.